Roma, 20-30 aprile. Tre blocchi stradali, uno sull’Appia Nuova, due sul Grande Raccordo Anulare. 50 minuti totali di blocco del traffico. 23 ore di fermo in commissariato. 2.666,66 euro di multe. Dieci denunce penali. Due pedinamenti da parte di agenti della Digos in borghese. Un foglio di via da Roma della durata di sei mesi.

Ho 34 anni. Un dottorato di ricerca internazionale alle spalle. Docenze universitarie a contratto e lavori editoriali portati a termine negli ultimi due anni. Me lo dicono in molti, che in questo periodo dovrei dedicarmi a consolidare della mia carriera. Ma come posso consolidare qualcosa mentre il resto del mondo crolla a pezzi? A chi insegnerò tra dieci anni, nel pieno del collasso climatico? L’unico scenario in cui potrei avere studenti a cui insegnare è quello di un mondo che avrà intrapreso un serio percorso di transizione ecologica. Un laboratorio democratico e solidale dove si applicano a ogni livello le soluzioni che già conosciamo per trasformare il nostro modo di co-abitare il pianeta. Se fosse questo lo scenario a cui andiamo incontro, sarei già in prima linea a fare la mia parte. Ma il futuro verso cui ci dirigiamo a gran velocità è un inferno climatico di almeno +3 gradi di riscaldamento globale medio, e non è neanche il peggiore degli scenari possibili. Per questo sono entrato nella resistenza.

Tra domani e i prossimi dieci anni, le alluvioni diventeranno più frequenti e devastanti. I boschi bruciati creeranno montagne di fango e di detriti che sommergeranno i siti alluvionati, i campi e i frutteti. Gli abitati costieri saranno erosi e gradualmente sommersi dalle mareggiate e dagli uragani. I terremoti continueranno. A un certo punto, i disastri locali saranno così tanti e ravvicinati che le istituzioni preposte cominceranno a non starci dietro. La Protezione Civile non avrà mezzi e personale a sufficienza, gli enti locali e nazionali non avranno più risorse per la ricostruzione. Tra siccità e alluvioni, i raccolti falliranno sempre più spesso. Cresceranno enormemente i prezzi del cibo e delle materie prime. Anche auto-prodursi il cibo diventerà sempre più faticoso e rischioso. Quello che si è coltivato con tanta fatica dovrà essere difeso da vicini e animali affamati.

In una situazione del genere, la prima cosa a saltare saranno le tasse. Le persone smetteranno di adempiere alle pratiche burocratiche e lo Stato sarà troppo debole per esigerle. I beni e i servizi verranno scambiati nel mercato nero, come è sempre accaduto in periodi di guerra o ristrettezze. Senza gettito fiscale, lo Stato non potrà pagare i propri impiegati o pensionati né erogare i propri servizi. Di conseguenza, i consumi crolleranno e anche l’economia collasserà, a cominciare dai settori non essenziali come il turismo. Non ci saranno più soldi per il cinema, l’editoria, i grandi eventi musicali.

Tra i servizi pubblici, per primi salteranno l’assistenza sociale, la ricerca, le istituzioni culturali. Ai musei pubblici forse ci aggrapperemo un po’ più a lungo, ma a un certo punto non potremo più permetterci i costi della sicurezza e della climatizzazione con temperature che raggiungeranno picchi di +8-9 gradi. Nelle chiese, “le pale medievali faranno una brutta fine”. In alcune città le opere d’arte verranno depredate e vendute sul mercato nero, in cambio di cibo o scorte di gasolio. Anche la sanità, alla fine, crollerà su sé stessa. Gli ospedali diventeranno rifugi per profughi africani che le frontiere non riusciranno più a contenere ormai da anni (come accade già adesso). Anche le cure mediche di base si scambieranno sul mercato nero, per chi potrà permettersele.

In questo scenario, anche le conseguenze legali delle mie azioni con Ultima Generazione decadranno. La farraginosa macchina della giustizia, con tutte le sue lungaggini, non sarà più sostenibile. Avremo altre urgenze. Anche la polizia sarà a pagamento, e il micro-crimine sarà talmente diffuso da diventare la nuova legge del territorio. I ricchi si raduneranno in comunità fortificate e sorvegliate da guardie armate.

Sarebbe molto utile se tra gli scienziati dell’IPCC ci fossero anche delle narratrici in grado di tradurre numeri e grafici in scenari concreti come quelli tratteggiati sopra. Sarebbe stato bello se le grandi aziende petrolifere come Shell, Exxon e British Petroleum, che conoscono con certezza le conseguenze catastrofiche delle loro attività dagli anni ’70, avessero ascoltato le raccomandazioni dei propri scienziati, invece di insabbiare il tutto e foraggiare il grande circo del negazionismo climatico. Ma l’avidità ha vinto sulla verità, allora come nei decenni a seguire, e adesso la situazione è peggiorata fin quasi al punto di non ritorno. Chi sostiene che possiamo ancora rimanere al di sotto dei famosi 1,5° mente, oppure non ha letto gli ultimi report scientifici. Nella migliore delle ipotesi attuali, andremo comunque incontro a un overshoot (sforamento), correndo rischi enormi, per poi rientrare nella soglia di sicurezza. Secondo l’ultimo rapporto dell’IPCC, questo scenario avrà luogo soltanto se raggiungeremo il picco delle emissioni entro il 2025 e cominceremo ad abbassarle del 30-40% ogni anno entro il 2030.

C’è da affrettarsi. Cosa fa invece il nostro governo? Dal palco delle Conferenze Internazionali per il Clima si riempie di belle parole e promesse verbali, ma poi infrange puntualmente gli accordi ratificati. Negli ultimi anni i sussidi pubblici ai combustibili fossili erogati dallo stato italiano sono addirittura aumentati, con un picco di 41,8 miliardi nel 2021.

Entro in resistenza come un profeta che porta suo malgrado una verità scomoda, e indica l’unica, difficile strada verso la salvezza, sapendo che verrà deriso, preso a calci, umiliato, odiato.

La resistenza è la qualità di un corpo che vive. Resistenza ed esistenza sono la stessa cosa: la prima un rafforzamento della seconda. Un corpo che resiste è un corpo vivo che vuole continuare a vivere. Per sé e per gli esseri che ama. Per quelli che sono nati e per quelli che nasceranno. Per questo si oppone al progetto di morte che una minoranza privilegiata sta portando a termine, con la complicità – ignara o consapevole – di tante persone.

Entro in resistenza perché ho la fortuna e la responsabilità di vivere negli ultimi anni in cui è ancora possibile fermare la catastrofe totale. Entro in resistenza perché ho la fortuna di essere connesso con il dolore di questo tempo, di cui voglio essere residente e non ospite. Se il tuo corpo è emotivamente e razionalmente connesso con l’urgenza del tempo che stiamo vivendo, non puoi far altro che entrare nella resistenza. Se non sai dove incontrare altre persone che sono entrate in resistenza, scrivimi.

Se non è collettiva, la resistenza si riduce a sterile obiezione di coscienza. Ciò non significa che la resistenza debba essere una scelta unanime. Tutte le grandi resistenze sono state portate avanti da minoranze che non hanno atteso di ottenere il consenso, certe della giustizia della propria scelta. E la storia ha dato loro ragione. Se cambieremo e sopravviveremo, la storia ci darà ragione.

Se ne avrò la forza, nei prossimi articoli racconterò le modalità di questa resistenza, la strategia che la rende possibile, le esperienze vissute durante quei momenti, le storie delle anime pure – perlopiù raccontate durante le attese interminabili in commissariato – che sono le pioniere della resistenza.

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