Mi sono trovato spesso a sorprendermi, in queste due giornate di insonne andirivieni per le strade tortuose dei Monti Sicani.
Per la vitalità e la cura dei luoghi che trapela da queste comunità. Per la ricchezza della loro creatività tradizionale, che pure si è evoluta nel tempo (penso ad esempio agli archi di pane di San Biagio Platani, ai “diavoli” di Prizzi, ai bellissimi canti pasquali di Santo Stefano Quisquina).
A pensarci bene, però, non dovrei essere per nulla sorpreso.
Non è sorprendente che i piccoli paesi pulsino a un ritmo più sano, più in armonia con i cicli della Terra e degli altri esseri viventi.
Non è sorprendente trovare qui comunità coese, costellate di associazioni, amministrate da persone giovani in maniera virtuosa.
Lo sapevo già che piccolo e lento è bello, che vivere qui non significa essere “indietro”, che non c’è nulla di più contemporaneo dell’aver capito quali iniquità e malesseri si nascondono nella logica lineare di quell'”avanti”.
Lo sanno bene tante e tanti giovani che, come me, sono rientrate in Sicilia dopo lunghi percorsi internazionali, e che oggi vivono a Prizzi, a Bivona, a San Biagio Platani. Ho avuto il privilegio di incontrarne tanti, in questi giorni, e in loro trovo riflesse le stesse consapevolezze, la stessa determinazione, la stessa quieta disobbedienza. Che nell’incontro si amplificano, e disegnano mappe allargate di rigenerazioni possibili.
La cosa più bella di questo festival è stato vedere giovani di paesi vicini conoscersi per la prima volta, sotto la spinta di una carovana di forestieri e dell’organizzazione di un festival, per forgiare nuove sinergie, nuove comunità allargate a cui appartenere.
Grazie a Farm Cultural Park per aver trovato il modo migliore per aprire questo festival: mettere insieme un autobus pieno di gente creativa, per cucire insieme i loro percorsi e quelli dei sette paesi percorsi durante questo meraviglioso viaggio.