Libertà

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Come mi sento?

Sprofondo sul divano di quella che chiamo casa, anche se non so più cosa significhi essere a casa. A tratti penso che significhi una sorta di senso di normalità che ho perso quasi del tutto. Cosa significa essere a casa in un mondo così assurdo? C’è davvero un posto sicuro dove l’esterno non arriva?

Quello che mi è successo negli ultimi giorni lo dimostra. Sprofondo sul divano e ho sonno e sono stanco. E incredulo.

Venerdì scorso camminavo alla Cala, a Palermo, in direzione del Molo Trapezoidale. Ero con altre tre persone. Andavamo a fare un’azione diretta nonviolenta che doveva assomigliare a una performance. Avremmo mimato azioni di vita quotidiana nella vasca con fontane danzanti più grande d’Italia. 5000 metri quadri di vasca per contenere 5 milioni di litri di acqua dolce, altoparlanti, luci e fontane mobili. Circondata da negozi di lusso ed “eccellenze enogastronomiche”, per dare il benvenuto a crocieristi e proprietari di yacht.

Nulla in contrario, a tale manifestazione di sfarzo, se non fosse per un piccolo dettaglio: in Sicilia non c’è più acqua. La Regione ha proclamato lo stato di calamità naturale per siccità severa già a febbraio, quasi due mesi fa. Le dighe del centro Sicilia sono quasi tutte a circa 1/5 della loro capienza, come dovrebbero essere a luglio in un’annata normale. Ma siamo ancora a marzo, e il caldo deve ancora venire, anche se la Pasqua ha stupito tutti con temperature massime di 32 gradi.

Sono un essere umano, e come tutti gli esseri umani ho un bisogno fondamentale di rispecchiamento. Ho bisogno di un senso condiviso di giusto e ingiusto che mi faccia da riferimento, ho bisogno di ascolto e comprensione.

Scrivo queste righe solo per questo. Vorrei che tu, che leggi, mi capissi.

Ieri, dopo che la Digos in borghese ci ha fermate e ci ha chiesto di aprire gli zaini, e ha perquisito ogni tasca dei nostri zaini contenenti bottiglie vuote, piatti e abiti da lavare, siamo rimaste lì, sedute sul molo, circondate da una decina di agenti in piedi.

Soltanto perché volevamo manifestare, in maniera simbolica, la nostra rabbia e la nostra solidarietà verso le persone che subiscono già il razionamento dell’acqua, che vivono tra immensi disagi mentre chi governa questa città pensa a coccolare i turisti.

La gente passava, ci lanciava un’occhiata e poi tirava dritta per la sua strada, godendosi giustamente la sua passeggiata. I poliziotti ci scortavano con sguardi indifferenti, con una supponenza che mi ha avvelenato l’anima.

Perché ci perquisite?

Sospettiamo che abbiate armi o esplosivi.

Armi o esplosivi? Non sapete che siamo nonviolente? Sapevate esattamente che saremmo venute qui; seguite da mesi ogni nostro movimento, ma non sapevate che non abbiamo mai portato con noi nulla che potesse ferire nessuno, neanche a ingerirlo?

Nessuna reazione. Occhi persi nel vuoto, come quelli di quasi tutte le passanti. Cosa staranno pensando davvero? Di sicuro hanno perfezionato negli anni l’arte di mascherare le emozioni, come tutti i maschi di questa terra, ma è possibile che non provino nulla?

Questa indifferenza potrebbe farmi morire pazzo, come se a un certo punto mi mancasse l’acqua o l’aria.

Sapere con certezza che sta accadendo qualcosa di ingiusto, di profondamente sbagliato – ce lo hanno insegnato a scuola e anche al catechismo! – ed essere le uniche persone a fare qualcosa a riguardo. Non ottenere uno straccio di rispecchiamento, di conferma, nemmeno di comprensione. E, peggio di tutto, non poterlo neanche dire!

Se c’è qualcosa che può farmi impazzire, sarà questo. La follia come estrema delusione nel genere umano.

Quindi mi sono sentito così: confuso, incredulo, solo. E nella certezza di essere nel giusto. Decido di non collaborare.

Signor Busacca, dobbiamo chiamarle un’ambulanza per farla parlare?

Quando una passente si ferma, una signora napoletana di nome Gemma, e ci chiede cosa facciamo, come stiamo, e ci dice che abbiamo ragione, e comincia a guardare i poliziotti di sottecchi, per poco non mi sciolgo in un pianto liberatorio. Sento qualcosa sciogliersi dentro di me anche mentre scrivo.

Passano venti minuti. Mezz’ora. Tre quarti d’ora. Siamo ancora sedute sulla banchina mentre la gente passa senza fermarsi, una decina di poliziotti con lo sguardo perso nel vuoto in una colossale solitudine ci accerchia; tre di loro compilano dei fogli su due bidoni dell’immondizia.

Comincio a sentire freddo ai piedi. Cala il buio e la fontana comincia a danzare, con i suoi spruzzi altissimi, sulle note di Beyoncé e di Andrea Bocelli.

Un’ora e mezza. Un’ora e tre quarti.

Le bottiglie vuote e alcune taniche sparse intorno a noi. Hanno un’etichetta che recita: acqua trapezoidale: l’acqua dei palermitani.

Dopo due ore circa, ci riconsegnano i documenti. E le denunce: manifestazione non preannunciata (e non eseguita!) e inosservanza all’ordine dell’autorità (per la mia noncooperazione).

Una di noi, Alessandra, viene portata in questura per ritirare un’altra notifica.

Possiamo andare.

Mentre ci avviciniamo al centro commerciale, il cerchio di agenti della digos si trasforma in un semicerchio che ci segue. Quando ci avviciniamo alla vasca, il semicerchio si richiude in un cerchio, ancora più stretto di prima.

Signor Busacca, vuole forse prenderci in giro?

Mi dispiace che lei pensi questo, agente. Non ho alcuna intenzione di prenderla in giro. Non sono libero di fare una passeggiata?

Lei non è libero di fare quello che ha in mente di fare.

Che idea curiosa della libertà. Non sono libero di compiere azioni del tutto inoffensive e di affrontarne le conseguenze?

Non stasera.

La storia continua…

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