PREAMBOLO

16/08/2021. Mentre compongo le righe di questo manifesto, alle mie narici arriva il fumo di un incendio che non può essere lontano. Intorno a me, la Terra brucia. Bruciano le campagne e le foreste del Mediterraneo, della Siberia, dell’Australia, della California e di molte altre parti del pianeta. Altrove, piogge torrenziali e grandinate fuori stagione spazzano via centri abitati e mietono vittime. Guerre e migrazioni di massa sono alimentate dalle sempre più stridenti disuguaglianze e dagli stessi cambiamenti climatici. Ognuno di questi eventi estremi, diretta o indiretta conseguenza di degradazioni ecosistemiche indotte dall’attività umana, sgretola progressivamente il sistema socioeconomico che li ha generati, portando al limite la sua capacità di ricostituirsi. Viviamo nell’epoca del collasso ecosistemico globale.

CULTURA/E

Se il degrado del pianeta è antropogenico, le cause e le soluzioni vanno cercate nella cultura umana. Ma quale cultura? La principale critica al concetto di Antropocene è che la crisi ecologica non può essere attribuita indistintamente a un generico anthropos, bensì a uno specifico filone di pensiero che ha sviluppato una cultura della separazione gerarchica dell’umano dalla “natura”, giustificando lo sfruttamento del pianeta oltre la sua finitudine. Il collasso ecosistemico a cui assistiamo è figlio di una cultura antropocentrica ed estrattivista nata in seno all’Occidente, divenuta dominante per mezzo del colonialismo e della globalizzazione.

RIGENERAZIONE

Per rigenerazione, in biologia si intende “il riprodursi, in un organismo animale o anche vegetale, di parti, organi, tessuti, […] in seguito a perdite o a traumi accidentali”. Gli esempi di rigenerazione nel mondo animale e vegetale sono molteplici: una stella marina che rigenera i bracci mutilati; la capacità delle piante di rigenerarsi e propagarsi a partire da una loro parte.  Se pensiamo al pianeta Terra come a un unico organismo vivente, la rigenerazione è il processo tramite cui la Terra reagisce alla devastazione e riproduce le condizioni idonee per la vita. La cultura è la modalità tramite cui l’umano può partecipare alla rigenerazione della Terra. 

Il termine rigenerazione ha anche l’accezione di “rinascita, rinnovamento radicale, redenzione che si attua in una collettività”. Il rinnovamento della cultura dell’abitare la Terra è la dimensione fondamentale della transizione ecologica globale: senza una vera rigenerazione culturale neanche le soluzioni tecnologiche più efficaci saranno in grado di affrontare il problema alla radice, e genereranno ulteriori squilibri.

NON TUTTE  LE FORME DI CULTURA SONO RIGENERATIVE

Creare e diffondere cultura rigenerativa è innanzitutto un esercizio di critica, nel senso etimologico del termine (dal verbo greco krìno, che significa distinguere, scegliere, giudicare). Significa saper scegliere (krísis) forme di cultura che siano curative, non degenerative; relazionali e non antropocentriche; generative anziché paralizzanti. Significa rifiutare l’assunto che qualsiasi forma di cultura è, di per sé, un valore. Nel suo lavoro incessante di ricerca e di critica, una cultura rigenerativa si ferma spesso tra le ecologie indigene, le cosmologie animiste e panpsichiste, le civiltà contadine, le epistemologie dei sud, le tradizioni di minoranza vissute tra le pieghe della cultura dominante.

La krisis rigenerativa consiste anche nell’individuare barlumi di rigenerazione nella pluralità delle culture contemporanee, nella convinzione che nessuna egemonia culturale può mai essere totale, impenetrabile: la purezza emotiva delle sonate di Schubert, lo sguardo commovente di una ballerina di flamenco che riesce a brillare anche nel grigiore bancario di una casa d’aste in una capitale nordeuropea. 

1. OLTRE LA PARALISI DELLA CRITICA

La teoria critica, specialmente in ambito accademico, ha prodotto raffinate e convincenti analisi dell’attuale sistema socio-economico. Ma l’intelligenza del reale non è, di per sé, strumento di cambiamento né di rigenerazione. Al contrario, una postura iperanalitica, rivolta al passato e alle cause, e puramente intellettuale può condurre alla paralisi dell’azione. Abbiamo bisogno di scienze umane e discipline umanistiche che siano capaci di generare alternative praticabili, di trasformare la cultura e dunque la realtà. Abbiamo bisogno di una pratica intellettuale che sia creativa e affermativa, non soltanto critica od opposizionale.

2. LA CULTURA RIGENERATIVA È COLTIVAZIONE DELL’IMMAGINARIO

L’immaginazione collettiva è la sede in cui una società istituisce e trasforma se stessa. Il potenziale trasformativo dell’immaginazione risiede nella capacità di rappresentare e moltiplicare scenari alternativi, perfino in un epoca in cui è più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo. Nell’epoca della grande cecità, l’immaginazione diventa dunque il più potente strumento di sopravvivenza, l’ultimo freno da azionare prima della collisione. Coltivare l’immaginazione è l’obiettivo principale della cultura rigenerativa. Sviluppare e rinnovare mitologie dormienti, costruire utopie e distopie per allargare le frontiere dell’immaginario, gettare ponti immaginari tra passati, presenti e futuri possibili, immedesimarsi nelle vite di altre forme di vita; sono solo alcuni tra i campi di coltivazione dell’immaginario.

3. LA CULTURA RIGENERATIVA È NARRAZIONE DEL POSSIBILE

Nella mappa della cultura rigenerativa, la narrazione delle storie confina e si interseca con l’esercizio dell’immaginazione. Tramite le storie ci identifichiamo come individui e come comunità, tramandiamo conoscenze, ci intratteniamo, viaggiamo, ci caliamo in altre vite, in altri mondi. Tramite le storie possiamo intervenire nel presente per cambiare la nostra storia, perché noi siamo le storie che di noi stessə ci raccontiamo. Fiction is Action.

La cultura rigenerativa è un laboratorio di narrazione del possibile. Rovista nell’enorme magazzino dell’immaginazione e della memoria collettive per far riemergere storie dimenticate, ribelli, felici, oscurate, perché diventino attestati di possibilità e semi per la germinazione di nuovi racconti: orali, letterari, audiovisivi, grafici, musicali, ibridi. Inventati o veri, poco importa, dal momento che non esiste storia che non mescoli al suo interno accaduto e invenzione, fatto e interpretazione. La realtà è plasmata a partire da questo impasto.

 4. ARTI DEL VIVERE SULL’UNICO PIANETA CHE ABBIAMO

Le arti sono potentissimi e trasversali strumenti di rigenerazione: sono immaginario che si trasforma in reale. Possono stimolare e alimentare piacere, emozioni forti, visioni e atti di cambiamento, (ri)cucire legami, attualizzare audaci esperimenti di pensiero, avviare conversazioni, mettere in scena la realtà sociale per trasformarla, catalizzare comunità virtuose e  solidali in momenti di crisi, innescare processi di rigenerazione in contesti marginali, e molto altro. 

Perfino quando vengono ingabbiate dalle logiche del capitale e fruite da una ristretta élite culturale, alcune opere mantengono intatto il loro potenziale rigenerativo. Oltre a notarlo e a coglierlo, una cultura rigenerativa punta sulla creazione diffusa e sul fare arte come fondamentale pratica relazionale e rigenerativa; sull’accessibilità della bellezza; sulla demercificazione delle arti e sulla loro proliferazione al di fuori dei luoghi (generalmente chiusi) deputati alla loro fruizione.

5. LA CULTURA RIGENERATIVA È ATTIVISMO DEL PIACERE

Il piacere è il principio generativo per eccellenza. Insieme all’immaginazione, il piacere si estende a tutti i territori sulla mappa della cultura rigenerativa, dalle arti alle pratiche manuali, dalle relazioni alle storie. Il piacere è il feedback che il nostro corpo e il mondo ci danno quando le nostre azioni individuali e collettive si muovono nella direzione di una rigenerazione. Generare stati di benessere accresce la vitalità, l’affetto e la speranza; il piacere può motivare l’azione, l’impegno e la trasformazione del reale in maniera più efficace e duratura dell’appello al dovere morale. 

6. RIGENERARE RELAZIONI

La crisi ecologica globale è innanzitutto una crisi relazionale: l’invenzione della “natura” come alterità ha generato fratture sia all’interno sia al di fuori della nostra specie, e tocca a noi ricucire i rapporti. Coltivare le arti dell’attenzione è il primo passo: affinare i sensi per seguire l’intricato micelio di relazioni di un fungo, ridare un nome alle “erbacce” che coabitano lo spazio urbano, sono soltanto alcuni esempi. Il riconoscimento dell’interconnessione della vita nell’ecosistema e dell’interdipendenza che ci lega alle nostre comunità multispecie; l’apertura alla gratitudine e all’apprendimento sono altri possibili e desiderati sviluppi, e anche in questo abbiamo tanto da imparare dalle culture indigene. 

Una cultura rigenerativa è pratica quotidiana a contatto con la vita oltre le barriere dell’umano: coltivare un orto, fermentare microorganismi, osservare dall’interno la complessità di un ecosistema, compostare materia organica, panificare con lieviti naturali, progettare partendo da modelli ecosistemici, tornare ad abitare paesaggi ferali e abbandonati grazie a nuove alleanze tra specie, sono solo alcune tra le modalità di  rigenerazione della relazione quotidiana con il vivente.

7. PRENDERSI CURA DEL FUTURO CON LE MANI

La mano è l’organo di relazione con il mondo per eccellenza; la sua evoluzione è intimamente legata allo sviluppo cerebrale e cognitivo dell’Homo Sapiens. Eppure, la modernità occidentale ha per secoli svalutato la sapienza della mano, ritenendola separata da e subordinata all’intelletto, meccanica e priva di creatività. L’economia capitalistica ha ulteriormente scoraggiato l’autoproduzione e l’artigianalità, favorendo il consumo passivo e allontanando il più possibile il consumatore dall’industria produttiva.

Tornare a usare le mani è dunque una scelta ecologica e politica, ideologica e pragmatica insieme. Creare – o riparare – cose con le mani ci permette di instaurare una relazione fisica, sensoriale, con il mondo materiale, facilitandone la comprensione e stimolando la nostra capacità di plasmare la realtà. Il contatto diretto con i materiali insegna il valore e la finitudine delle risorse. L’attività manuale favorisce anche il benessere psicofisico e la socializzazione. La cultura rigenerativa è una cultura ibrida e distintamente manuale, dove la pratica è strumento di pensiero e il pensiero alimenta la pratica: plasmare l’argilla per produrre vasellame, figure o edifici, intessere e intrecciare fibre naturali, riutilizzare oggetti e materiali in maniera creativa; sono alcuni esempi di pratiche manuali che partecipano a processi di rigenerazione.

Il Manifesto della cultura rigenerativa è stato redatto per introdurre al corso interdisciplinare di Ecological Humanities: esperimenti di cultura rigenerativa, che si terrà presso la Scuola Superiore di Catania (Università di Catania) tra l’autunno 2021 e la primavera 2022. Oltre all’autore, le docenti del corso saranno l’antropologa Liisa Malkki (Stanford University) e la storica Ewa Domanska (Adam Mickiewicz University, Poznan).

2 thoughts on “ Manifesto della Cultura Rigenerativa ”

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